Il mondo del Teatro è colmo di una lunga serie di scaramanzie e superstizioni, alcune delle quali traslate fino ai nostri giorni trasformandosi in vere e proprie tradizioni, capisaldi di un codice etico non scritto a cui attenersi -senza possibilità di sgarro- da parte di ciascun teatrante che si rispetti.
Non è questione di crederci o non crederci, essere superstiziosi oppure no: ormai queste abitudini fanno talmente tanto parte del tessuto etico che vige tra i teatranti, che nessuno si sognerebbe mai di rompere la tradizione!
Il più famoso è il beneaugurante “merda” da rivolgere a chi si appresta ad eseguire una rappresentazione dal vivo.
Assolutamente vietato esprimersi diversamente, specie con degli apparentemente innocenti “auguri”.
Perché si dice “merda”?
In antichità ci si recava in teatro in carrozze trainate da cavalli, per cui augurare “tanta merda” equivaleva ad augurare l’arrivo di tante carrozze, ossia di un folto pubblico.
Nei paesi anglofoni l’analogo diventa “break a leg!” (“rompiti una gamba!”), un detto probabilmente legato al gesto dell’inchino, che viene ripetuto dall’attore al momento dei saluti fintanto che durano gli applausi.
Decisamente maggiore, d’altro canto, il panorama di eventi porta-sfortuna da evitare in ogni modo.
Perché si dice che il colore viola in teatro porti sfortuna?
Il viola è legato al periodo della Quaresima, durante il quale in tempi antichi venivano proibiti spettacoli di qualunque tipo, unica fonte di sostentamento degli attori.
Questa tradizione non è identica in tutto il mondo: in Spagna il colore “maledetto” è il giallo (amarillo), lo stesso che tinge la parte interna del drappo usato dai toreri. Il giallo, infatti, è l’ultimo colore che il matador vedrebbe in caso di sconfitta da parte del toro.
Ancora diverso il caso francese, dove il colore collegato alla sfortuna è il verde.
Come mai?
La leggenda vuole che proprio di verde era vestito Molière quando morì in scena nel 1673 durante una replica de “Il Malato Immaginario”.
Esistono, poi, intere opere teatrali considerate parossisticamente cariche di energie negative.
La tragedia shakespeariana “Macbeth” è il caso più famoso.
Si dice porti sfortuna anche solo pronunciarne il titolo, tant’è vero che in tutta la Gran Bretagna si ricorre all’antonomastico “The Scottish Play”.
Non è certa l’origine di questa leggenda: secondo alcuni, Shakespeare avrebbe fatto ricordo ad incantesimi di magia nera per scrivere la scena delle tre streghe, che verrebbero evocate nel mondo reale dall’esecuzione dell’opera stessa.
Un altro gesto da non fare mai a teatro è fischiettare. Pare che pure questo porterebbe sfortuna.
Perché mai?
Non è certo. Una prima interpretazione potrebbe semplicemente derivare dal classico segno di disapprovazione del pubblico (almeno in Italia), eventualità questa da esorcizzare in ogni modo.
Ma c’è una seconda spiegazione che legherebbe il fischio ai tecnici di scena che un tempo venivano assoldati andando a pescare tra i marinai, soliti comunicare con dei codici fatti di fischi per manovrare cavi e vele.
Ed ecco che il fischio dell’attore poteva essere confuso con quello di uno dei tecnici e generare autentiche sciagure.
Oltre al fischio, il teatrante deve esimersi dal pronunciare la parola “corda”.
La diceria deriva dai tempi dell’Inquisizione, in cui peccatori di ogni genere (e tra questi anche i teatranti stessi, considerati meritevoli di sepoltura in terre sconsacrate) venivano condannati a impiccagione o alla cosiddetta “tortura della corda”.
In poche parole, venivano sollevati da terra con una corda a cui venivano legate le mani, fino a slogatura delle articolazioni.
Eh, “il Teatro è sofferenza”, come si dice.
Un’altra fonte di disgrazia è la caduta del copione dalle mani.
Non sia mai! Una vera e propria iattura contro la quale fortunatamente esiste un infallibile metodo neutralizzante: sbattere per tre volte il copione a terra, nel punto esatto dell’impatto col terreno.
Importante!
Solo colui a cui è cascato il copione dalle mani è titolato ad eseguire la contromisura.
Infine, concludiamo con uno dei rari segni di buona sorte, in questo mondo di iatture e disgrazie in cui il teatrante rischia di incappare: il chiodo storto.
Si narra che individuare un chiodo storto sul palco o dietro le quinte porti bene e sia benaugurante verso un ritorno in quello stesso teatro in un imprecisato futuro.
Non è chiaro se camerini e foyer rientrino nel campo d’esistenza di questa specie di benedizione.
Ad ogni modo, l’origine della tradizione risale alla fretta dell’attrezzista nel piantare chiodi per fissare le scenografie qualora lo spettacolo in questione sia molto atteso dal pubblico.
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