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Immagine del redattoreSimone Buffa

L'arte dello Storytelling

Yunnan, Cina. 3 Agosto 2014, ore 16,30 ora locale.

Una violenta scossa di terremoto di magitudo 6,1 colpisce la provincia asiatica in corrispondenza della faglia che congiunge la placca indiana con quella euroasiatica.

Il bollettino parla di 617 morti accertati di e più di tremila persone tra feriti e dispersi.


Genova, 18 Aprile 2013. Matteo, di 5 anni, cade accidentalmente in una vasca colma di acqua stagnante nei pressi della casa in campagna della zia, località Mignanego.


Secondo la ricostruzione, il bambino stava giocando con una palla nel prato quando si allontana improvvisamente dalla vista della famiglia, attirato da un vecchio abbeveratoio per le mucche, riempitosi d’acqua piovana a causa dei forti temporali dei giorni precedenti.


Il bambino, in fin di vita, viene salvato dal suo cane Trip che, accortosi del pericolo, si lancia nell’acqua e lo trascina a bordo vasca fino a scaraventarlo fuori.


Non ce l’ha fatta però il cane, un pastore tedesco di dodici anni, che al termine del gesto eroico muore pochi istanti dopo, stroncato dalla fatica.


Trip era un regalo di nozze che i genitori di Matteo si erano scambiati dodici anni prima per l’anniversario di nozze.


Era sempre stato parte della famiglia.


Preso in adozione in un canile comunale, dalla nascita di Matteo, figlio unico, ne era diventato subito il suo amico più fidato.



Le due notizie sono fatti di cronaca realmente accaduti.


Ma per qualche ragione solo la seconda ha il potere di commuoverci, di farci provare un sentimento di dolore e mestizia, fino a portarci alla lacrime.


Perché? Cosa succede?


Ci interessa davvero di più la vita di un cane morto da eroe per salvare la vita del proprio padroncino che non la vita di più di tremila persone?

Per quale motivo la nostra reazione a queste due notizie può essere così differente?


Che sia l’abitudine alle quotidiane notizie di disastri in terre lontane a rivelare la nostra vera essenza umana, amara e cinica?


Niente di tutto questo. Un motivo c’è.


La tecnica dello Storytelling



Trip, il cane di 12 anni, ha una sua storia ben raccontata.

O almeno, è quello che il cronista ha voluto riportare.

Ed è quello che è mancato nella notizia della terribile tragedia in Asia.

Le nostre reazioni emotive vengono sollecitate dalla storia che ci sta dietro.

E’ la storia a guidare il nostro sentire rispetto a qualsiasi faccenda di cui veniamo a conoscenza.


In narrazione questo fenomeno viene chiamato Storytelling.

Una storia deve catturare l’attenzione e connettere l’ascoltatore, fino a guidarlo verso un’emozione.


La commozione è l’atto finale del processo empatico che porta l’ascoltatore ad immedesimarsi con i personaggi e le vicende narrate, coinvolgendolo sul piano emozionale.


Quando una storia può dirsi efficace?


Una storia efficace deve parlare al cuore prima che alla ragione.

Nello storytelling l’attenzione è focalizzata sulla passione che i personaggi vivono.

Una storia che sappia emozionare è l’esecuzione di un’arte in grado di attivare processi riflessivi e formativi, individuali e collettivi.


Pur senza accorgercene, prestiamo attenzione a dettagli che nella realtà potrebbero apparire poco significativi ma che sono tuttavia presenti nella vita di tutti i giorni.


Il momento in cui viene spezzata la resistenza emotiva e avviene l’accoglienza empatica dei

fatti descritti coincide con l’instaurarsi di una correlazione nella rappresentazione narrativa tra processi di interpretazione e di proiezione riflessiva.

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