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Immagine del redattoreSimone Buffa

Verso un teatro povero

Aggiornamento: 26 lug

Nell’accezione comune, il mestiere dell’attore, ha assunto nel tempo e nelle diverse epoche storiche varie forme, talvolta opposte.


Cambiando radicalmente in contesti sempre in evoluzione in parallelo con la storia dell’uomo. Ed ha anche assunto valenze, finalità e rilievi differenti in diversi contesti culturali, pure nei più attuali.


Ma cos’è, in effetti, un attore?


Secondo le definizioni più classiche, un attore è nient’altro che uno strumento per realizzare in scena un’azione, ossia una trasformazione da uno stato A ad uno stato B.


Ma secondo le tradizioni più antiche e rurali, il ruolo dell’attore si fondeva in un tutt’uno (e -di fatto- coincideva) con quello dei sacerdoti.


Nell’antica cultura indiana l’attore era il depositario di un rito sacro che veniva riproposto sempre identico a se stesso, secondo una tradizione da tramandare alle generazioni successive.



La sacralità del rito teatrale


La sacralità del rito teatrale è il fulcro del rinnovamento di pensiero operato nel novecento da Grotowski, che richiama così la peculiarità del pensiero archetipale.

L’attore si spoglia di tutto il superfluo (dagli elementi scenografici ai costumi, dalla verbosità e dai movimenti e persino alle luci) ed approda alla realizzazione di un cosiddetto “teatro povero”.





E’ nell’essenzialità di uno spazio scenico reso “sacro” dall’opera che si sta per compiere che l’attore si fa tramite tra il Divino (ossia l’Arte) ed la platea.


E’ attraverso la messa in scena che può compiersi il processo alchemico taumaturgico a beneficio del pubblico.


Si tratta di una vera e propria cerimonia. Al termine dello spettacolo, il pubblico ne uscirà trasformato, illuminato, guarito.


La catarsi

Il mondo ellenico definiva questo processo con il termine “catarsi”, purificazione.

Già ai tempi dell’antica Grecia Aristotele aveva intuito che, mediante la “mimesi”, cioè la rievocazione del dramma attraverso la tragedia e attraverso l’attore, lo spettatore ripercorre il dolore proprio e intimo, immedesimandosi in un primo momento e liberandosene poi del tutto.

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